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Le borse e l'economia reale

  • Immagine del redattore: Oscar Braggion
    Oscar Braggion
  • 10 apr 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Partiamo da qualche dato: il numero di società quotate è decisamente esiguo, meno di 300 e questa soglia non è mai stata superata negli ultimi 10 anni, mentre il peso della loro capitalizzazione rispetto al Pil è passato dal 47% del 2001 al 27% del 2010; oltre il 90% degli scambi si concentra su appena 40 società che rappresentano più dell’80% della capitalizzazione totale; in Borsa appena il 25% delle società risulta contendibile.

Così ricordava Alessandra Puato il 4 luglio scorso suCorriere Economia in un articolo significativamente intitolato “Quell’insostenibile leggerezza di Piazza Affari”, e pesano solo il 20,7% sull’intera capitalizzazione di Borsa. Il resto del listino è blindato in vario modo, tramite controllate di diritto, di fatto e da patti parasociali; da una recente indagine dell’ufficio studi di Mediobanca su oltre 4000 imprese di medie dimensioni, crem della crem dell’industria italiana, con un fatturato compreso tra i 15 e i 320 milioni di euro e un organico di 50-499 dipendenti, meno di 20 sono quotate. Scriveva Antonella Olivieri l’8 maggio scorso sul Sole 24 Ore nel dar conto dello studio: «Solo un quarto ha i conti in rosso, quelle che guadagnano in proporzione più delle grandi hanno un tasso di fallimento limitato a 2 su mille, riescono a sfondare all’estero e si autofinanziano gli investimenti.

E non basta: oltre la metà (il 53,7%) è investment grade, con un rating superiore a BBB-, mentre solo l’8% ha voti inferiori a B+. In altre parole, le medie imprese avrebbero le caratteristiche giuste per andare in Borsa e per piacere alla Borsa ma, almeno in Italia, non succede né l’uno né l’altro»..] Articolo completo su: goo.gl/VSUCcL Ragioniamo per un attimo sul perché succede questo: gli imprenditori italiani preferiscono non quotarsi per non affidare le sorti della propria impresa nelle mani di speculatori, soprattutto di grandi investitori, che portano a creare una forte discrepanza tra la bontà dell'impresa e la reale quotazione e valorizzazione borsistica gonfiata e sgonfiata ad arte, perdendo di fatto il controllo della propria azienda.

Gli imprenditori italiani scelgono di investire SULL'ECONOMIA REALE, sulla propria capacità di produrre utili e tu quando investi ti fidi più di un'azione di un'azienda quotata e soggetta a speculazioni o alla concretezza di un'azienda fatta di imprenditori, dipendenti e prodotti o servizi reali?

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